LE LUCCIOLE DI PASOLINI.

Il 1° febbraio 1975, l’anno anche del suo assassinio, apparve nel Corriere della Sera l’articolo famoso. In verità lo scrittore nel suo saggio sta parlando di democristiani e di fascisti, cioè della realtà politica reale di quegli anni ’60, gli anni appunto della scomparsa delle lucciole a causa dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua. Pierpaolo Pasolini parla di una “irreversibile degradazione del popolo italiano” rispetto sia alla situazione politica sia alla “straziante scomparsa delle lucciole”.

La pagina incancellabile di Pasolini sulla scomparsa delle lucciole ci è di spunto per soffermarci su tale pagina terribile della violenza degli umani sugli animali. Ci vogliamo risparmiare considerazioni filosofiche e letterarie al riguardo e omettere che il Vecchio Testamento non è stato generoso verso gli animali a differenza di altre confessioni invece rispettose e soffermarci, quale monito, solo sulla crudeltà e ferocia di cui, stando alle cronache quando appaiono, sono stati fatti segno, oggi ancora di più, gli animali, da sempre.

L’episodio di Anagni di qualche settimana addietro in cui ragazzi adolescenti e maggiorenni, scolarizzati, alla presenza di madri e padri, hanno ammazzato a calci una capretta, a guisa di partita di calcio, nella indifferenza degli spettatori ecc. è un episodio che circoscrive alla perfezione sia la ferocia innata del bipede sia il fallimento o la non esistenza o non presenza, non dico della società in generale, ma sicuramente della scuola e dei genitori prima di tutto. Tale episodio di teppismo gratuito ricorda, pure nella sostanza, l’altro episodio di quegli altri ragazzi che hanno giocato a pallone con un gattino come pallone, fino alla sua morte, e la madre di uno di essi tutto afflato lirico a perdonare, a scusarsi, perfino a giustificare -e le giustificazioni non mancano mai!- ma non ad aggiustare un paio di sonori schiaffoni o calci in culo a tali piccoli imbecilli, per non ricordare i padri dell’episodio della capretta i più colpevoli, che si indignavano a sentire i loro figli qualificati in un certo modo, pur mai corrispondente alla gravità del misfatto: Pasolini e non solo lui, avrebbe parlato di “teppismo ideologico somatizzato”, di “irrisione, disprezzo della pietà” e ricordato che “I figli hanno una esistenza simile a quella dei padri. Essi sono anzi destinati a ripetere e a reincarnare i padri”.

I colpevoli impuniti di queste vicende mostruose sono perciò prima di tutto i familiari e poi la scuola e, non di meno, la televisione. Sono neonazisti, inutile e ipocrita giuocare con le parole: “Non c’è che un passo dall’atonia morale e dalla irresponsabilità sociale…alla pratica di seviziare e di ammazzare”.

I cacciatori americani che complici, per soldi, i governanti africani, ammazzano leoni per farne trofei nelle loro case, i più perversi la feccia dei bracconieri che dopo aver colpito un rinoceronte per privarlo del corno perché afrodisiaco secondo i malati di mente che ne richiedono la polvere o le zanne di un elefante per l’avorio o un leopardo per ricavarne la pelle per vestimenti, quasi sempre li lasciano morire in chissà quali sofferenze e loro, i bracconieri, impuniti e incolumi, pronti per altre efferatezze. Altra categoria sostanzialmente impunita è quella dei personaggi che catturano gli animali per commercio. Altrettanto terribili e spietati sono la pesca ormai a livelli industriali, e la caccia vera e propria alle balene e agli squali e quella spietata e della massima crudeltà, della caccia e sterminio degli inermi pinguini e dei delfini e delle foche da parte soprattutto delle popolazioni scandinave. Continuare con tali lugubri elencazioni è motivo di sconforto e di disperazione, soprattutto nella costatazione che i rimedi e le buone iniziative sono ben poca cosa rispetto alla volontà generale, consapevole o meno, dell’eccidio e della distruzione: recentemente le nostre autorità governative hanno decretato che la caccia può svolgersi anche nei periodi non previsti e anche in zone fino ad oggi vietate e che, notizia di questi giorni, è stato liberalizzato il taglio degli alberi senza chiedere autorizzazioni o altro, per favorire la industria del legno, in sofferenza!

Che ancora debba aver valore ed esistere il ‘verbo’ ammazzare riferito agli animali, è il massimo dell’oltraggio nonché del sottosviluppo e del “vuoto etico”: che si ammazzino i bipedi tra di loro, è perfino normale, fa parte della propria genetica ma ammazzare un agnello o un vitello o un ‘galletto’ per poi, tra l’altro, mangiarli è un atto di pura ferocia e aggressività o un comportamento inconsapevole o irresponsabile. Ricordiamo in merito che i maggiori e più spietati distruttori della fauna selvaggia sono stati gli antichi Romani che per almeno cinquecento anni, e non solamene a Roma, hanno considerato le belve feroci oggetto delle più depravate e perverse e inimmaginabili pratiche ludiche: non si riesce ad immaginare la proporzione di una e vera propria organizzazione e industria della caccia alle belve tanto che in tutta l’Africa del Nord è stata cancellata completamente ogni traccia della presenza dei leoni, degli elefanti, dei coccodrilli, ecc.!!

Rimettiamo al lettore di esprimersi sugli eleganti stivali di donna o sugli abiti e giacche di pelle o sulle pellicce, ecc. e sulle lucide scarpe di cuoio o sulle borsette! Il degrado sociale ed educativo è tale da ritenere normale la violenza a danno di creature indifese ed innocue. La televisione, in merito, semplicemente riprovevole con, tra l’altro, la sua pubblicità: ben scriveva Pasolini di chiuderla! Oggi ancora di più. E’ a dir poco ancora più disdicevole che a scuola debba sistematicamente essere fatto ritenere atto normale quello di esercitare violenza su un altro essere, e quindi ammazzare.

Michele Santulli

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