SALUTE. IDO: 600MILA BALBUZIE NEL 1975, ORA STESSO NUMERO PER…

CASTELBIANCO: SI GUARDA A PRESTAZIONE, LO STESSO ACCADEVA PER SORDITÀ (DIRE) Roma, 15 apr. – Era il 1984 quando l’Istituto di Ortofonologia (IdO) dedicava uno dei suoi primi convegni alla balbuzie per indagarne gli aspetti teorici e terapeutici. “Nel 1975 si era calcolato che ci fossero in Italia circa seicentomila balbuzienti, era un problema fortissimo tra bambini e ragazzi.
Poi, con l’andare del tempo, queste percentuali si sono sempre piu’ ridotte e la balbuzie (per quanto riguarda il numero dei casi) e’ stata sostituita dai disturbi di apprendimento. Oggi si conta, infatti, che siano seicentomila i bambini e i ragazzi con dislessia, disgrafia o discalculia. Seicentomila, proprio tanti quanti erano i balbuzienti”. Parte da qui Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell’eta’ evolutiva e direttore dell’IdO, per fare un excursus storico su cinquanta anni di terapia con l’eta’ evolutiva in occasione del convegno che celebra mezzo secolo dell’Istituto. “La balbuzie era un problema considerato principalmente maschile tanto che il rapporto tra maschi e femmine era di 7 a 1- ricorda Castelbianco- Le donne si lasciavano parlare, non venivano ascoltate e non venivano prese in considerazione. A tavola il papa’ o il nonno davano la parola al figlio maggiore che aveva la responsabilita’ di dover comunicare qualcosa di importante o di sensato. Il problema della balbuzie quindi aveva una causa scatenante sociale, e col tempo, come dicevamo, e’ quasi scomparso”. Castelbianco mette in evidenza come all’epoca quello su cui si puntava era il raggiungimento del risultato, nel caso della balbuzie: smettere di balbettare “e per farlo c’erano 124 metodi”.
In questi cinquanta anni “l’ambiente ha sempre avuto un grosso peso su chi si occupa di riabilitazione”, spiega lo psicoterapueta. “Non si andavano ad indagare le cause- sottolinea Castelbianco- ma ci si limitava a una diagnosi descrittiva che consentiva di limitare il problema a un sintomo, ed e’ su quel sintomo che si interveniva”.
Lo stesso accadeva anche per la sordita’. Tanto e’ vero che nel 1983 l’IdO aveva promosso un convegno dedicato a ‘L’educazione del pensiero nel bambino sordo’ per sottolineare che a differenza del metodo utilizzato allora, in cui si prevedeva che il bambino ripetesse in continuazione parole per arrivare a parlare, l’IdO sosteneva invece che per produrre il linguaggio verbale andasse educato il pensiero. I bisogni dei bambini sono sempre stati il filo conduttore dell’Istituto. “La frase ‘il miglioramento di una singola prestazione non da’ un quadro adeguato della maturazione globale del bambino, ne’ lo aiuta’, che era lo slogan del convegno- ricorda il direttore dell’Ido- racchiude bene il percorso di questi cinquanta anni”. Oggi non si parla piu’ di balbuzie, ma ci sono i problemi di apprendimento. “Non si valuta piu’ la prestazione in base a quello che si dice, ma a quello che si fa.
Un rifiuto della scuola, ad esempio, viene tradotto erroneamente in disturbi di attenzione e concentrazione. Ma il problema puo’ essere diverso e lo si capisce nel momento in cui si da’ ai ragazzi qualcosa di piu’ interessante da fare. A quel punto riescono a stare ore e ore attenti e concentrati”. In sostanza Castelbianco ci tiene a sottolineare come “il bambino debba avere il tempo per fare i suoi passi, per maturare. Perche’ oggi come 50 anni fa per la ricerca della prestazione e il raggiungimento dell’obiettivo si sta perdendo la possibilita’ di evolvere.
Dobbiamo rendercene conto- dice- e rivedere alcuni canoni sugli apprendimenti. Noi esperti- sottolinea- dobbiamo dare piu’ spazio alla pedagogia, stiamo invadendo un mondo sano in un modo inappropriato”. L’aspetto su cui stare attenti e’ “scorporare dalla diagnosi del bambino cio’ che non compete al bambino stesso, perche’ il bambino non puo’ difendersi”, aggiunge in conclusione Magda Di Renzo, responsabile servizio Terapie IdO.

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