MILANO – Dalle baracche di Villa Fiorito alla ‘Mano di Dio’, dalle magie con la maglia del Napoli al dramma della dipendenza. Diego Armando Maradona, morto oggi all’età di 60 anni, è stato molto di più di uno dei più grandi, se non il più grande giocatore della storia del calcio.

Simbolo di riscatto, eroe fragile ed imperfetto, ‘El Pibe de Oro’ ha incantato il mondo con le sue giocate. La fantasia sempre al servizio della squadra, la tecnica mai fine a se stessa, l’umiltà del mediano e i piedi del fuoriclasse.

Ma è anche fuori dal campo che il mito di Maradona è cresciuto, alimentato da una personalità generosa con il pubblico, da prese di posizione politiche forti e dal tunnel della dipendenza alla cocaina.

GLI ESORDI DEL ‘PIBE DE ORO’ E IL GOL PIU’ BELLO DELLA CARRIERA

Maradona esordisce poco più che quindicenne, nel 1976, nell’Argentinos Juniors, società di Buenos Aires. Con solo 1 metro e 65 di altezza gli avversari non pensano sia adatto al calcio, ma lui li zittisce sul campo e, per due stagioni di seguito nel 1979 e nel 1980, diventa capocannoniere del campionato argentino, arrivando a vincere per due volte il pallone d’oro sudamericano.

Ed è proprio con questa maglia che, in una partita contro il Deportivo Pereira, Maradona segna quello che lui stesso ha definito “il gol più bello della mia carriera”.

DALL’ESORDIO ALLA ‘BOMBONERA’ ALL’ARRIVO IN EUROPA

Il 22 febbraio 1981 Maradona corona il sogno di una vita giocando per la prima volta sul prato della ‘Bombonera’, tempio del calcio sudamericano, con la maglia giallo blu del Boca Juniors, la squadra per cui tifava sin da bambino.

Sul campo, l’impatto è devastante: doppietta all’esordio contro il Talleres (partita finita 4 a 1) e 28 gol in 40 partite in una stagione dominata dal Boca Juniors.

Ma per Diego il sogno giallo blu dura poco: a fine stagione il Boca, che lo aveva preso in prestito, non può riscattarlo per problemi finanziari. Per prenderlo i club europei fanno la fila, anche con un tentativo della Juventus dell’avvocato Agnelli, ma sarà il Barcellona a spuntarla.

Arrivato in Spagna, Maradona gioca due stagioni importanti (35 presenze e 23 gol nel 1982-83 e 23 presenze e 15 gol nel 1983-84) ma la mancata vittoria del titolo e i troppi infortuni non fanno scattare la scintilla con l’ambiente blaugrana.

“BUONASERA NAPOLETANI!”

Ecco allora l’intuizione geniale del presidente del Napoli Corrado Ferlaino che, dopo mesi di trattative segrete, riesce a portare Maradona sotto il Vesuvio per 13 miliardi di lire.

Il 5 agosto 1984, davanti a 80mila tifosi del Napoli che pagano il prezzo simbolico di mille lire, Diego calca per la prima volta il prato del San Paolo. Il feeling con il pubblico è immediato, così come l’amore che lo legherà per anni alla città e alla sua gente.

LE PRIME DUE STAGIONI AL NAPOLI

Nelle prime due stagioni in Italia Maradona prende le misure con la Serie A mentre la squadra gli cresce attorno.

Il primo anno è deludente, il Napoli precipita nei bassifondi della classifica per poi rimontare nella seconda parte del campionato e chiudere all’ottava posizione.

Va meglio l’anno successivo con il Napoli che arriva dietro la Juventus di Platini e la Roma di Falcao. E’ in questa stagione che Diego segna uno dei suoi gol più belli, una punizione a due dentro l’area che il fuoriclasse argentino manda sotto il sette, alle spalle del portiere bianconero Tacconi, condannando la Juventus di Trapattoni alla sconfitta.

Gli azzurri sono ormai una realtà del campionato italiano, pronti a lottare per il titolo. Prima, però, Maradona va in Messico per giocarsi il mondiale con la sua nazionale, l’albiceleste.

MESSICO ’86, LA MANO DE DIOS

Ai mondiali di Messico ’86 l’Argentina arriva con una squadra di comprimari, votati a far rendere al meglio l’unico giocatore che può farli vincere. La tattica funziona e, nonostante la presenza dei campioni uscenti dell’Italia nello stesso girone, l’albiceleste si qualifica senza affanni alla fase a eliminazione diretta fino a sconfiggere la Germania Ovest in finale, aggiudicandosi il titolo.

Ma il mondiale di Messico ’86 resterà nella storia per il match tra Argentina e Inghilterra dei quarti di finale. La rivalità tra i due paesi è alta, le ferite della guerra delle Falklands ancora aperte e il campo riflette questa situazione. Gli inglesi giocano duro, quasi sporco, provando a imporre il loro fisico sulla tecnica avversaria. Eccola, allora, la vendetta di Diego, la vendetta del ‘pueblo’ argentino contro la regina: arriva al 50esimo, sotto forma di uno storico colpo di mano che segna il momentaneo 1-0. E’ ‘la mano de Dios’, il volere di Dio che mette la sua firma sul 2 a 1 finale- ovviamente, doppietta di Maradona- e condanna l’Inghilterra alla sconfitta.

I SUCCESSI CON IL NAPOLI

Dopo il titolo mondiale, Maradona torna a Napoli dove disputa una stagione da record, trascinando i partenopei alla prima storica vittoria della Serie A 1986/87 e quella della Coppa Italia. Fondamentale la vittoria a Torino contro la Juventus e le altre vittorie con le big del campionato che sanciscono la crescita definitiva della squadra.

In estate l’arrivo dell’attaccante brasiliano Careca galvanizza l’ambiente, ma il tandem d’attacco sudamericano non basta al Napoli per confermarsi campione: il Milan di Arrigo Sacchi sbanca il San Paolo e vince 2 a 3 la sfida scudetto contro i partenopei, che arrivano secondi. Maradona si consola con il titolo di capocannoniere della Serie A 1987/88, ottenuto con 15 reti.

L’anno dopo il campionato 1988/89 è dominato dall’Inter dei record di Trapattoni e Matthaus. Il Napoli chiude ancora in seconda posizione, a meno 11 dalla vetta. La soddisfazione, questa volta, arriva dalle coppe: dopo l’eliminazione della Juventus ai quarti (sconfitta per 2 a 0 all’andata, vittoria per 3 a 0 al ritorno) e vincedo in finale contro lo Stoccarda, Maradona e i suoi compagni si aggiudicano una storica vittoria in coppa UEFA.

All’inizio della stagione 1989/90 arrivano i primi segni di malessere. Maradona non vuole scendere in campo, tanto da scappare in Argentina all’inizio della stagione. Ma poi ritorna, prende per mano il Napoli e lo trascina alla vittoria del secondo titolo a +2 sul Milan. Anche in questa stagione resta negli annali un suo gol su punizione segnato al San Paolo contro la Juventus.

ITALIA ’90, IL DOPING E IL DECLINO

Il mondiale di Italia ’90 coincide con l’inizio del declino del Pibe de Oro. Maradona trascina l’Argentina in finale dopo aver eliminato l’Italia in una partita in cui il San Paolo di Napoli fa il tifo solo per lui. Ma la finale va alla Germania, e Diego crolla in lacrime, denunciando un “complotto”, una vittoria “della mafia”.

La stagione riparte con la vittoria della Supercoppa contro la Juventus, ma Maradona è spento. Il Napoli viene eliminato al secondo turno di Coppa dei Campioni, uscendo ai rigori per mano dello Spartak Mosca. In campionato il Napoli chiude al settimo posto, ma a marzo Maradona risulta positivo a un controllo antidoping e viene squalificato per 15 mesi.

I riflettori si accendono sui comportamenti di Diego fuori dal campo, la sua dipendenza per il ‘demone bianco’, la cocaina, diventa notizia di prima pagina, così come i problemi con il fisco italiano. Ma lui non si arrende, torna in campo prima con il Siviglia e poi in patria con il Newell’s Old Boys prima di tornare al Boca Juniors, dove terminerà la carriera. Per lui anche un’ultima apparizione con la maglia dell’Argentina ai mondiali di Usa ’94.

MARADONA ‘POLITICO’: DAL PRINCIPE CARLO A FIDEL CASTRO

Oltre per le sue dipendenze, Maradona ha fatto parlare di sé fuori dal campo anche per le sue prese di posizione politiche. Il ‘Pibe de Oro’, infatti, non ha mai dimenticato di essere venuto dal niente e ha sempre mantenuto un legame speciale con il ‘pueblo’. Così, quando il principe Carlo gli chiese una stretta di mano per riappacificare Argentina e Inghilterra, Diego non ebbe dubbi: “Non stringerò quelle mani sporche del nostro sangue”.

A far discutere anche la sua profonda amicizia con Fidel Castro, per il quale Diego nutriva una profonda ammirazione. I due si incontrarono più volte, partecipando anche insieme ad un viaggio che attraversò tutto il Sudamerica: “Più conosco l’occidente e gli occidentali, più amo Cuba e i cubani”.

“E’ morto il più grande di tutti, nulla sarà più come prima”, diceva Diego il 25 novembre 2016, alla morte del leader della rivoluzione cubana. Esattamente quattro anni dopo, nell’anniversario della morte di Fidel, se n’è andato anche lui, per un arresto cardiorespiratorio nella sua casa di Tigre.