I giovani, Ibra, Pioli e Maldini: la grande alchimia del Milan campione d’Italia.

Battuti i record statistici dell’Inter, la cabala e il “fantasma” Rangnick.

ROMA – Sole. Caldo, caldissimo, prima di calare verso la sera della festa. Non è sceso il nubifragio a Reggio Emilia. Il Milan ha disinnescato l’incubo di una nuova “Perugia” (la pioggia, Collina che sospende la partita, la Juve che smarrisce un titolo già vinto nelle pozzanghere) come aveva fatto con la Fatal Verona. Lo Scudetto numero 19 se l’è preso a dispetto dei traumi del passato, vecchi fantasmi d’un calcio che non fa più provincia. Vince col club in vendita, il futuro funziona così. Poteva festeggiare in contumacia a Cagliari, la scorsa settimana, per interposto vantaggio aritmetico se solo l’Inter si fosse sciolta davanti al destino implacabile. E invece no. Il Milan è Campione d’Italia in trasferta mentre Milano consola l’Inter e si riprende il trono di Capitale del calcio nostrano: solo altre 2 volte la corsa al titolo era stata tutta meneghina, nel 1951 e nel 1965. Milano è rimasta l’unica città ad avere due squadre vincitrici di Champions: non ci sono ancora riuscite la Londra dei tanti club di Premier, Madrid, Manchester, Liverpool, Amsterdam. Per simmetria di dominio patrio, l’Inter s’è presa la Coppa Italia (soffiandola alla Juve in un altro derby), il Milan lo Scudetto. Milano da bere, e da spartire. Amen.

PIOLO, UN TECNICO AL LAVORO PER SOTTRAZIONE

Milan-Atalanta e Sassuolo-Milan furono le ultime due partite della gestione Allegri, l’ultimo allenatore del Milan ad aver vinto uno scudetto. Fu mandato via nel 2014. Ora il re è Stefano Pioli, un tecnico al lavoro per sottrazione: nel 2022 la sua difesa ha incassato solo 9 gol. Ha sbattuto in faccia questo suo striminzito ma efficacissimo primato all’Inter davanti in tutto il resto: gol, tiri, assist, colpi di testa, corner… A saper interpretare il pallottoliere cade tutta l’architettura del gioco ingordo, bulimico. Si vince sempre facendo un gol in più, ma se devi farne uno più di zero è un lavoro ben più agevole. Andassero ora a raccontare la morale di questa favola a Ralf Rangnick, che nei programmi doveva sedere sulla panchina di Pioli a fare la rivoluzione per poi giungere allo stesso traguardo. Rangnick, il profeta tedesco dell’Hoffenheim portato dalla Serie C ai primi posti della Bundesliga, l’ingegnere capo del Lipsia in semifinale di Champions League. Quello che aveva già firmato col Milan, prima di farsi “licenziare” dall’incredibile finale di stagione – parliamo di due anni orsono – del “traghettatore” Pioli.

Ricordarlo ora è un dovere quasi storico: senza avvisare Boban e Maldini, Elliot e Gazidis avevano ingaggiato lui. Boban andò su tutte le furie, parlò di ingerenze nel suo lavoro, in sostanza accusò di scorrettezza il club. E fu cacciato. Maldini galleggiò per stile innato. E il tempo gli avrebbe dato ragione. Ibrahimovic sentenziò: “Rangnick? Non lo conosco”. E i più attenti annusarono il sortilegio: Pioli raggiunse l’obiettivo Europa League e la dirigenza non ne fece una questione di principio. Parlava il campo. E quello urlava Pioli. Come una sera di maggio, del 2022.

IL MILAN DI IBRA

Elliot sta vendendo a un fondo americano, cambia tutto o forse niente. Il Milan resta quello di Pioli, Maldini e Ibra. Ibra, appunto. Mentre i tifosi rimbalzano tra la celebrazione e le aspettative irrealistiche sulla forza economica del nuovo fondo americano che se li sta comprando, c’è Ibra al centro dello Scudetto. L’uomo simbolo del trionfo. Il capitano-non capitano, il bomber-poco giocatore, il “sensei” dello spogliatoio.

Il Milan ha cominciato a vincere lo Scudetto 2022 nel 2019, quando Raiola dirottò lo svedese a Milano dopo il “no” di Gattuso e del Napoli. Sbarcò a Milanello all’indomani della tremenda scoppola rimediata contro l’Atalanta: 5-0. Dopo 17 partite il Milan aveva 21 punti. L’arrivo di Ibrahimovic invertì il corso della storia. Nelle successive 21 partite fece 45 punti, secondo miglior piazzamento nel girone di ritorno (dietro l’Atalanta). Rimontò dall’undicesimo al sesto posto e si qualificò per l’Europa League. In 18 partite, Ibrahimovic fece 10 gol e 5 assist. Per il resto ha tenuto il timone dalla panchina, anche all’ultimo atto. Nella formazione del Milan che va a ritirare lo scudetto in Emilia ci sono Maignan (26 anni), Kalulu (21 anni), Tomori (24), Theo Hernandez (25), Tonali (22), Saelemaekers (22), Leao (22).

Ci sono i giovani. Ibra è il mandante. Il grande vecchio, con l’altro in campo: Giroud, quello delle doppiette decisive, nel derby, e al Sassuolo. I “cumenda” col cappotto lungo, e i giovani in campo a “lavurà”. Eccola l’alchimia dello scudetto rossonero: tradizione e tigna, il meltin pot anagrafico. I fatti al posto delle chiacchiere: quelli dietro a dirsi più forti, il campo a parlare per ultimo.

Agenzia DiRE  www.dire.it

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