IDROGENO VERDE, RINNOVABILI E DECARBONIZZAZIONE IN CIOCIARIA: FACCIAMO CHIAREZZA.

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IDROGENO VERDE, RINNOVABILI E DECARBONIZZAZIONE IN CIOCIARIA: FACCIAMO CHIAREZZA

Frosinone, 20/12/2023

Alla COP 28 la comunità internazionale ha unanimemente deciso di triplicare la produzione di fonti rinnovabili al 2030 e di accelerare in questo decennio l’azione che dovrà portare all’abbandono delle fonti fossili. Nessuno può chiamarsi fuori: a ogni territorio viene chiesto di fare la sua parte. Dobbiamo dunque costruire insieme una roadmap che permetta di concretizzare anche in Ciociaria questo processo, fondamentale per fermare la crisi climatica.

Nei giorni scorsi è stato presentato dal Consorzio Industriale del Lazio il progetto Helios per la produzione di idrogeno verde nel distretto industriale di Patrica. Questa realizzazione è stata dipinta come strategica nel processo di decarbonizzazione del tessuto industriale locale e nella diffusione della green economy anche nel frusinate. Ma è davvero così? Non sarà che, visto anche il coinvolgimento di aziende come SGI che hanno interesse allo sviluppo del business legato al gas fossile, si sta tentando di far passare per green un’operazione che non lo è poi così tanto?

È in realtà quello che pensiamo: il progetto, che pure è un passo in avanti nella riduzione dell’impronta di carbonio del polo industriale di Frosinone, non è a nostro avviso esente da ombre. Vediamo perché.

L’iniziativa è stata sbandierata come finalizzata alla creazione del “polo di produzione di idrogeno verde più grande del centrosud”, ma in realtà è poca cosa in termini di energia pulita prodotta: è previsto infatti un sistema di elettrolisi di 5 MW che sarà alimentato da un impianto fotovoltaico a terra di 7 MW. Per fare un confronto, il parco solare che Legambiente ha proposto per l’aeroporto militare di Frosinone avrebbe una potenza almeno 10 volte maggiore (70 MW)!

Bisogna essere chiari sul potenziale dell’idrogeno nella transizione energetica: miscelare il metano trasportato nei gasdotti con un po’ di idrogeno, anche se verde, non è solo costoso perché richiede la costruzione ex novo di condutture dedicate; soprattutto, questa non è la via maestra per la decarbonizzazione, perché rischia di legarci ancora per troppo tempo al gas di origine fossile, di cui dovremmo invece sbarazzarci al più presto. L’idrogeno verde può andare bene per i settori hard to abate come le acciaierie, per specifici utilizzi industriali (sarebbe importante poterne disporre ad esempio alla Itelyum di Ceccano, azienda leader dell’economia circolare nel nostro territorio), per gli stoccaggi stagionali, per i trasporti pesanti o in prospettiva per l’aviazione, ma non per essere bruciato nelle caldaie.

Per di più, impiegare impianti fotovoltaici a terra per produrre idrogeno anziché elettricità da immettere nella rete può avere senso per un paese che ha già un’alta penetrazione di rinnovabili nel mix elettrico, ma ne ha meno per l’Italia che è ancora ferma al 43% e deve correre per avvicinarsi agli altri paesi europei (basti pensare che nei primi nove mesi del 2023 l’Italia ha installato solo 4 gigawatt di potenza da fonti pulite contro i 12 della Germania!).

Sussistono inoltre una serie di criticità tecniche legate al trasporto in infrastrutture dedicate delle miscele metano/idrogeno che rendono problematico sia il progressivo arricchimento in idrogeno della miscela 75% metano e 25% idrogeno prevista inizialmente nel progetto1, sia la convenienza stessa del trasporto in termini energetici2.

Volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, potremmo dire che Il “blending” dell’idrogeno (ossia la miscelazione con metano ai fini del trasporto) può essere visto oggi come uno strumento per aumentare la domanda di idrogeno verde e stimolare così la diffusione degli impianti di produzione. Ma non si tratta certo di una soluzione a lungo termine: per raggiungere gli obiettivi della neutralità climatica, l’impiego del metano di origine fossile (anche se in miscela con l’idrogeno) andrà via via ridotto fino alla sua completa eliminazione. Per le applicazioni in cui non si può fare a meno del gas, si dovrà invece sempre di più ricorrere al biometano ottenuto dagli scarti organici, i cui impianti di produzione faticano purtroppo ancora a decollare soprattutto nel centrosud.

Insomma, se vogliamo davvero mettere in campo un piano ambizioso per triplicare la produzione di energia rinnovabile e avviare rapidamente l’abbandono delle fonti fossili in provincia di Frosinone, occorre puntare in primo luogo su fotovoltaico e sistemi di accumulo, favorendo nelle città la nascita di comunità energetiche e l’installazione di pensiline fotovoltaiche nei parcheggi, e accelerare nel contempo l’elettrificazione del trasporto su strada e dei riscaldamenti. È poi necessario stimolare lo sviluppo dell’agrivoltaico e l’adozione di iniziative che consentano la realizzazione di impianti per la produzione di energia pulita nei distretti industriali e nei poli commerciali e logistici. In questo ambito, il progetto di Legambiente consistente nella riconversione dell’area dell’Aeroporto Moscardini in via di dismissione a parco fotovoltaico, assurto a un rilievo nazionale dopo la visibilità conferita dall’inchiesta di Report dell’aprile scorso, assume una valenza di particolare rilievo sia per la favorevole ubicazione del sito sia per le sue dimensioni. Si tratta di un progetto ambizioso ma concretamente realizzabile se solo ci fosse la volontà politica.

La realizzazione di grandi impianti fotovoltaici a terra in siti idonei situati nel nostro territorio (sfidiamo chiunque a dire che l’elisuperficie del Moscardini non lo è!) risponde inoltre alla logica di riequilibrare la produzione di energia pulita all’interno della Regione Lazio, dove la grande maggioranza di impianti è ubicata nel viterbese. La giunta Rocca si è già espressa in questa direzione, e dunque non è dalla Regione che ci aspettiamo un’opposizione.

Continuiamo quindi a chiedere agli enti locali e alle forze politiche di affrontare con coraggio e determinazione le sfide del futuro anziché di arroccarsi sulla sterile difesa dell’esistente, e di esprimersi rispetto a una proposta, quella della riconversione del Moscardini, di assoluto buon senso. Avanziamo poi con forza la richiesta di un tavolo ai massimi livelli provinciali per discutere un piano per la decarbonizzazione della Ciociaria in linea con gli obiettivi decisi alla COP 28.

Stefano Ceccarelli

Presidente

Circolo Legambiente “Il Cigno” di Frosinone APS

1 Concentrazioni crescenti di idrogeno nella rete del gas naturale comportano, oltre a problemi di sicurezza, tutta una serie di interventi sulle infrastrutture, a partire dai sistemi di misura che oggi non sono in grado di misurare correttamente l’idrogeno e quantificarne il contributo all’energia consegnata all’utente finale. Oltre una certa soglia di concentrazione è verosimile che il costo di tali interventi non sia più giustificabile rispetto ad alternative basate sull’abbandono definitivo dei processi di combustione.

2 Infatti, a causa del basso potere calorifico riferito al volume dell’idrogeno (che, a parità di condizioni di pressione nelle tubazioni e di volumi trasportati, è pari a meno di un terzo di quello del gas naturale mediamente distribuito nelle reti nazionali), la sostituzione del gas naturale con una determinata frazione di idrogeno rappresenta una diluizione e non un arricchimento in termini di contenuto energetico. Da qui la maggiore incidenza dell’energia necessaria alla decompressione rispetto al totale dell’energia trasportata.

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