Rimini, 2 aprile – Nella depressione esistono importanti differenze di genere: “Le donne nel corso del loro ciclo di vita presentano un rischio più alto di sviluppare una malattia depressiva, con una prevalenza che è circa il doppio rispetto agli uomini. Studi recenti, inoltre, indicano che la depressione perinatale – che si manifesta nel periodo che precede o segue immediatamente la nascita e fino a 12 mesi dopo il parto – è frequente e si attesta su una media del 13% delle donne in gravidanza o nel periodo del post-partum”. A tracciare il quadro di una malattia tanto complessa è Antonio De Giovanni, psichiatra e direttore sanitario di Brain&Care Group, nell’ambito del corso ECM (residenziale e live streaming) su ‘L’approccio clinico integrato e la rTMS in ambito neurologico e psichiatrico’, in corso oggi a Rimini e promosso da LetscomE3 in collaborazione con Brain & Care Group.
La depressione è una condizione che va distinta, secondo lo specialista, “da una reazione depressiva di breve durata, nota come ‘baby blues’, che raggiunge la massima espressione nei primi 3-4 giorni dopo il parto e tende a svanire generalmente entro le prime due settimane. La depressione perinatale presenta, in particolare, sintomi più intensi e persistenti ed è il risultato di una complessa interazione tra meccanismi endocrini e diversi fattori di vulnerabilità, con gravi conseguenze per la salute della donna stessa, per i suoi figli e per l’intera famiglia”.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) durante la pandemia ha posto particolare attenzione sulla malattia depressiva, indicandola come la principale causa di disabilità nella popolazione occidentale e la seconda causa di invalidità per malattia dopo i disturbi cardiovascolari. “Nel mondo ne soffre circa il 5% degli adulti– sottolinea lo psichiatra- Si tratta inoltre di un disturbo che non in rari casi tende a ripresentarsi nel corso della vita, tanto che studi recenti segnalano una probabilità di ricaduta dopo un episodio depressivo compresa in un range tra il 35% e il 65% dei casi”. Sono disponibili diverse possibilità di trattamento, che vanno dalla terapia farmacologica alla psicoterapia, alle tecniche di Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS), ma “occorre ricordare che circa il 70% delle forme di depressione risulta resistente al trattamento farmacologico e che ancora oggi- afferma il direttore sanitario- nonostante la presenza di svariate opzioni farmacologiche, esistono ancora ‘unmet needs’ (bisogni insoddisfatti) nel trattamento, soprattutto nell’area dei sintomi cognitivi, nei pazienti anziani e nelle donne in gravidanza”.
Come si può curare la depressione perinatale? “Di primaria importanza è la messa in atto di efficaci misure preventive per consentire una diagnosi precoce- avvisa Di Giovanni- Occorre tener conto che tutti gli psicofarmaci attraversano la barriera placentale, pertanto la decisione di attuare un trattamento farmacologico va ponderata valutando non solo i rischi dell’esposizione al farmaco, ma anche il rischio dell’impatto della depressione della madre sul nascituro. In questo contesto l’uso delle Tecniche di Stimolazione Magnetica, che si sono dimostrate altamente efficaci e prive di effetti collaterali nella cura dei disturbi depressivi, può rivestire un ruolo terapeutico molto importante nelle donne alle prese con le forme di depressione perinatale. L’impiego di un protocollo, TMS come di qualunque altra terapia medica, deve avvenire tuttavia nel contesto di un progetto terapeutico integrato con tutte le professionalità competenti, in un’equipe multidisciplinare, mai tralasciando gli interventi fondamentali di sostegno psicologico e supporto familiare”.
Che cosa è la TMS? La TMS (stimolazione magnetica transcranica) è una tecnica di stimolazione cerebrale non invasiva, vale a dire priva di effetti collaterali e indolore, in grado di modulare l’attività della corteccia cerebrale attraverso la generazione di impulsi magnetici. “Si tratta di una tecnologia utilizzata ormai da più di 35 anni sia come metodica di studio del sistema nervoso che come strumento terapeutico di comprovata efficacia nella cura delle sindromi depressive, del disturbo ossessivo compulsivo, nelle varie forme cliniche dello spettro fobico-ansioso. Un altro campo di applicazione è rappresentato dal trattamento di alcune patologie neurologiche come la malattia di Parkinson e la malattia di Alzheimer”, conclude lo psichiatra.
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