Inchiesta online sulla salute realizzata con strumenti digitali.

di Fulvio Oscar Benussi, Socio Aidr

In questo articolo parlerò di come gli strumenti digitali possano
essere un supporto formidabile nell’esercizio dei diritti e nello
specifico nell’ottenimento delle informazioni che per trasparenza
grazie al F.O.I.A. (Freedom of Information Act) introdotto con decreto
legislativo n. 97 del 2016 devono essere rese disponibili dalle
Pubbliche Amministrazioni.
Il decreto riguarda non solo la possibilità di svolgere un’inchiesta
giornalistica (situazione esemplare oggetto di questo articolo), ma
anche organizzazioni non governative, imprese, cittadini italiani e
cittadini stranieri che possono richiedere dati e documenti al fine di
potersi informare sulle attività delle pubbliche amministrazioni.
Obiettivo dell’inchiesta
L’inchiesta si è svolta tra novembre 2021 e maggio 2022 e ha coinvolto
Aziende sanitarie locali e Ospedali di tutto il Paese. Le aziende
sanitarie e gli ospedali contattati erano quelli di cui ho reperito
l’indirizzo mediante ricerche in Internet.
Strumenti digitali indispensabili per l’inchiesta
Per potere ottenere le risposte in un intervallo di tempo ragionevole
ho utilizzato la mia PEC (Posta Elettronica Certificata) cui, come
noto, la legge attribuisce alcune potenzialità. Innanzitutto inviando
delle PEC ottenevo la non ripudiabilità, ovvero le PPAA destinatarie
non potevano affermare di non avere ricevuto, nella data di invio, la
mia comunicazione. Va segnalato che alcune AST e Ospedali maggiormente
organizzati hanno risposto immediatamente alla mia PEC con l’invio del
numero di protocollo generato automaticamente dal loro sistema di posta.
La richiesta, inserita nella PEC, da cui ha preso spunto la mia
inchiesta chiedeva di inserire i numeri di pazienti coinvolti nelle
diverse metodiche di dialisi presso il Centro dialisi di loro
pertinenza compilando la seguente tabella:

Tabella 1 – richiesta dati inviata ad AST e Ospedali

FIGURA 1

Il secondo strumento che ho, utilizzato è stata la firma digitale. La
richiesta inserita nel corpo della PEC inviata era replicata in un
documento PDF firmato digitalmente e allegato. Questo modo di
procedere, penso, abbia favorito la percezione di una maggiore
autorevolezza alla comunicazione da me digitalmente firmata.
L’utilizzo della firma digitale era anche indispensabile per evitare
eventuali brutte sorprese da parte di cyber criminali. Infatti: se non
avessi certificato la mia identità quale firmatario dell’istanza
mediante l’apposizione della firma digitale avrei dovuto allegare a
ogni PEC la copia scannerizzata del mio documento di identità.
Ovviamente l’invio in Internet di un elevato numero di PEC (circa
170), che ho spedito nello svolgimento dell’inchiesta, avrebbe
aumentato esponenzialmente il rischio che il mio documento venisse
trafugato. E se ciò fosse avvenuto mi avrebbe esposto al rischio di
furto di identità da parte di malintenzionati cyber criminali.
Riferimenti normativi
La richiesta di dati presente nelle PEC dell’inchiesta era
giuridicamente fondata sulla base del FOIA (Freedom of Information
Act), introdotto con il decreto legislativo n. 97 del 2016 che ha
modificato e integrato il precedente decreto legislativo n. 33 del 2013.
Come giornalista mi sono avvalso della possibilità di richiedere i
dati della tabella 1 per potere svolgere un ruolo attivo di controllo
sulle attività delle pubbliche amministrazioni che ho coinvolto e
incoraggiare un dibattito pubblico informato su un tema relativo alla
salute pubblica che è di evidente interesse collettivo.

Azioni per contrastare le inadempienze
La richiesta dati presente nelle PEC inviate non è stata sempre
soddisfatta: alcune aziende e Ospedali non hanno ritenuto, con varie
motivazioni, di dovere ottemperare al dovere di trasparenza previsto
dalle norme in vigore.
Per questo ho provveduto a rivolgermi ai Responsabili della
prevenzione della corruzione e della trasparenza degli Enti coinvolti
chiedendo il loro intervento.
Considerando anche le risposte ottenute dopo tali azioni la
percentuale di risposte pervenuta ha raggiunto quasi l’80% degli Enti
coinvolti nell’inchiesta.
Si può facilmente comprendere come in assenza degli strumenti digitali
menzionati i tempi di realizzazione dell’inchiesta sarebbero diventati
così ampi da indurre chiunque a rinunciare all’impresa…

Esito dell’inchiesta sulla diffusione delle metodiche di dialisi
domiciliare nel territorio nazionale
Sulla base dell’elevato numero di risposte ottenute con l’inchiesta
riteniamo che le riflessioni, e il grafico prodotto (Figura 1) pur non
rappresentando l’intero universo dei Centri dialisi nazionali, possa
comunque essere utile per valutare la situazione italiana
relativamente alla domiciliazione dei trattamenti dialitici.
Per gli interessati l’inchiesta completa è pubblicata nel numero
2/2022 della rivista universitaria Quaderni di Comunità. Persone,
Educazione e Welfare nella società 5.0 [2], e analizza la diffusione
in Italia di tutte le metodiche di svolgimento della dialisi
domiciliare diffuse in Italia.
Il dato più significativo e che emerge è che, effettuando una
comparazione tra Italia e Francia, la metodica di cui è
particolarmente urgente ampliare la diffusione riguarda in particolare
l’emodialisi domiciliare frequente. Il potenziamento della diffusione
dell’emodialisi domiciliare frequente è importante in quanto non tutti
i pazienti che sarebbero interessati alla domiciliazione delle loro
terapie possono effettuare la dialisi peritoneale. Ciò in quanto il
loro peritoneo può non essere idoneo a tale terapia. Inoltre
l’inidoneità può insorgere anche successivamente alla pratica della
dialisi peritoneale e in questo caso, se non è possibile passare
all’emodialisi domiciliare frequente, non resterà altra soluzione che
tornare ad essere istituzionalizzati ed effettuare le terapie
dialitiche in Ospedale o in un Centro di Assistenza Limitata.
Per effettuare la comparazione tra Francia e Italia abbiamo
confrontato i dati da noi raccolti con quelli tratti dal registro REIN
(Epidemiology and Nephrology Information Network) gestito dall’Agenzia
di Biomedicina francese che pubblica annualmente uno specifico Rapporto.
Entrambi i Paesi hanno un numero di pazienti nefropatici in emodialisi
extracorporea comparabile, sono circa 50.000, ed appare evidente che
il ritardo italiano riguarda in particolare l’emodialisi domiciliare
frequente. L’Italia ha una percentuale di soggetti che eseguono la
dialisi domiciliare frequente del 0,33% cioè 168 pazienti, in Francia
la percentuale è di 1,2% cha corrisponde a circa 600 pazienti.
Figura 1: Esiguità della percentuale di pazienti in terapia domiciliare

Fonte: elaborazione a cura dell’autore
Un dubbio che potrebbe sorgere e che va risolto è relativo ai costi
della dialisi domiciliare. In entrambe le metodiche, dialisi
peritoneale ed emodialisi domiciliare frequente, il risparmio sulla
spesa pubblica è notevole come indicato nell’inchiesta citando fonti
autorevoli che lo hanno verificato e reso pubblico in articoli
presenti in riviste scientifiche del settore.
Effetti sulla salute e chiarimenti sulla gestione della terapia
possono essere reperiti all’apposito gruppo Facebook[2] che oltre a
medici, personale sanitario e pazienti ospita spesso contributi della
Fondazione italiana del rene.
Conclusioni emerse dall’inchiesta
Sulla base dell’inchiesta effettuata una domanda ci viene spontaneo
porre: Visto che gli effetti sulla salute della emodialisi domiciliare
frequente sono positivi, e si risparmia, perché non procedere alla sua
diffusione come auspicato in varie fonti normative che nell’inchiesta
ho indicato?

[1] Link all’articolo:
https://www.torrossa.com/it/resources/an/5349685. Alla rivista:
https://dites.unilink.it/quaderni-di-comunita-persone-educazione-e-welfare-nella-societa-5-0/acquisto-rivista-quaderni-di-comunita/
[2]
https://www.facebook.com/login/?next=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fgroups%2F179655329766113

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