M.G.F. ED INFIBULAZIONE. UNO SGUARDO ALLA DRAMMATICA SITUAZIONE. Di Bianca Fasano.

ACCADEMIA DEI PARMENIDEI
     UFFICIO STAMPA

In Italia, dal 2006, vi è una specifica disposizione penale relativa alle Mutilazioni Genitali Femminili: la legge n. 7/2006, che racchiude disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile (chiamata Legge Consolo). Attraverso questa, il Parlamento italiano intendeva tutelare la donna dalle pratiche di M.G.F, in attuazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione. Malgrado questa legge e la precedente IV Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne, di Pechino, 4-15 settembre 1995 con il successivo Programma di azione le mutilazioni sono praticate anche in Europa e in Italia, per effetto dell’immigrazione. In proposito L’OMS stima che sono più di 200 milioni le donne che hanno subito mutilazioni genitali nei paesi in cui si concentra la pratica, e sono a rischio di mutilazione circa 3 milioni di ragazze ogni anno, la maggior parte delle quali prima dei 15 anni.

Le mutilazioni genitali sono principalmente diffuse presso gruppi ed etnie dei Paesi dell’Africa subsahariana e della penisola arabica. Secondo le culture che la prevedono, l’infibulazione serve per purificare il corpo di una donna. I Paesi dove questa pratica è più diffusa sono Guinea (96% di donne infibulate sulla popolazione femminile totale) e Somalia (98%), stando ai dati dell’Unicef. 

Se ne conoscono vari tipi, con diversi livelli di gravità, di cui la più radicale è comunemente chiamata infibulazione, una pratica diffusa prevalentemente nell’Africa Subsahariana che l’immigrazione ha fatto conoscere, purtroppo, anche in Europa e in Italia. Non dimentichiamo, ad esempio, quanto è avvenuto a Piacenza il Settembre 2021, laddove un padre ha condotto le figlie in Africa, nel loro Paese di origine, con la scusa di una vacanza e invece le bambine sono state infibulate. L’uomo, residente in Italia insieme alla famiglia, venne arrestato. Troppo tardi, però.

Giacché è giusto che sia così, ospitiamo da prima e poi rendiamo cittadini italiani a tutti gli effetti, esseri umani provenienti da ogni luogo del mondo e, in molti casi dalle terre dell’Africa, della penisola araba e del sud-est asiatico. 

Sappiamo che giungono in Italia per sfuggire alla fame e alla violenza, ma spesso, troppo spesso, conducono con loro una violenza terribile che appartiene per nascita a fattori culturali di cui noi Europei non possiamo accettare assolutamente la continuità nella nostra società. 

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, ogni anno in Europa, 180 mila ragazze rischiano la mutilazione genitale mentre 500 mila l’hanno già subita. Gran Bretagna e Svezia sono alcuni esempi di Paesi dove molte donne sono mutilate. E’ inutile fingere che la questione non ci riguardi: il fenomeno anche solo in Italia, interessa 30-35mila esseri umani. Personalmente, da anni, da quando sono a conoscenza della terribile presenza nel modo e in Italia dell’infibulazione femminile, di cui sono vittime migliaia di NOSTRE bambine immigrate, non riesco a prendere sonno serenamente. Tanto di più perché so che la tragedia personale della mutilazione genitale ha dimensione mondiale, poiché nel mondo sono oltre 120 milioni le donne vittime di questa pratica, in 29 paesi, con 3 milioni di bambine e ragazzine che ogni anno subiscono l’infibulazione e questo lo ricorda anche la bellissima immigrata Warris Dirie, Somala, famosissima modella che, per averla subita a tre anni ed essendone restata violentemente danneggiata nel fisico e nel morale, con la sua fondazione si batte in prima persona.La Waris oggi coordina la”Desert Flower Foundation”, un’associazione che in Africa salva le bambine e le fa studiare nelle “Desert Flower schools. A proposito della madre, che adesso combatte con lei contro la violenza delle M.G.F, afferma di averla perdonata e insiste sul fatto che le bambine a rischio devono essere monitorate dagli asili nido alla scuola. Occorre che il sistema sanitario induca un’educazione capillare sulla questione e che le legislazioni italiane siano chiaramente chiarite ed imposte agli immigrati, giacché nei loro paesi d’origine sono differenti e la violenza è spesso “di casa”, tenendo presente che si tratta di questioni attinenti all’educazione impartita dalla nascita le quali devono essere divelte rendendo chiaro, anche in modo categorico ai nuovi italiani, di appartenere, essendo venuti sul suolo italiano per scelta, a una società che non acconsente a tale aberrante pratica. Solo nella capitale, infatti, dal 1996, sono state curate diecimila bambine torturate nella carne e nella mente. I dati arrivano dalla ricerca svolta in quattro regioni italiane e raccolti nel libro: “Sessualità e culture- Mutilazioni genitali femminili: risultati di una ricerca in contesti socio-sanitari”, a cura di Aldo Morrone e Alessandra Sannella (1).

La mutilazione genitale femminile è peggiore dell’aborto perché, come sostiene la stessa Warris: “Mutila l’individuo ma lo lascia in vita, a convivere con una tremenda realtà“. Non ci possiamo nascondere dietro l’ipocrisia, dato che sappiamo come questa in Italia si pratichi a pagamento, anche se le nostre leggi vietano questa consuetudine. Sostiene il Dott. Morrone (2): “Nel nostro Paese ci sono ancora i medici e le anziane delle comunità che, a pagamento, praticano l’infibulazione e ce ne accorgiamo solo quando le donne vengono negli ambulatori e osserviamo danni recenti che fanno pensare a un intervento di questo genere”. La scusa dei medici sta nel fatto che altrimenti le mutilazioni avverrebbero senza anestesia, con coltelli, lame di rasoio, vetri rotti o forbici e quindi l’intervento del medico elimina le situazioni a rischio che condurrebbero a infezioni, cheloidi, tetano e addirittura infertilità, oltre a problemi nei rapporti sessuali e durante il parto. Ma si dimentica di dire che i problemi sessuali e durante il parto sono l’elemento portante dell’infibulazione stessa.

Non dimentichiamo, inoltre, che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan  nel 2021 è uscito dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, un accordo internazionale promosso dal Consiglio d’Europa nel 2011 ed entrato in vigore nel 2014 per prevenire e combattere la violenza contro le donne, lo stupro coniugale e le mutilazioni genitali femminili. L’accordo è noto come Convenzione di Istanbul, perché fu ratificato nella città turca, e la Turchia fu il primo paese a firmarlo.

Ringraziamo invece di cuore l’On. Emma Bonino, per la campagna diretta all’abbandono delle mutilazioni genitali femminili, da lei effettuata da sempre, che negli anni novanta, a fianco dell’organizzazione “Non C’è Pace Senza Giustizia (Npwj)”, organizzò eventi, iniziative, conferenze e meeting su quest’argomento, con politici europei e africani. A seguito di queste proposte il Parlamento europeo adottò una Risoluzione di condanna delle MGF come violazione dei diritti fondamentali della persona. Un effetto positivo si vide nel dicembre del 2000, quando la stessa Emma Bonino visitò il villaggio di Tourela Mali, in cui la tradizione delle MGF è stata volontariamente ripudiata e sostituita da una festa, che riproduce il rito di passaggio dall’adolescenza all’età adulta.

È necessario che siano messe in atto tutte le politiche sul territorio idonee a far rispettare anche l’articolo 583 bis del Codice di procedura Penale, il quale punisce con la reclusione da quattro a dodici anni chi, senza esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili. Per mutilazione il legislatore intende, oltre all’infibulazione, anche la clitoridectomia, l’escissione o comunque (norma di chiusura) qualsiasi pratica che cagioni effetti dello stesso tipo. Le disposizioni di quest’articolo sarebbero ottimali se fossero attuate, in quanto si applicano nel caso che il fatto sia commesso all’estero da cittadino italiano ovvero da straniero residente in Italia, ma anche in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia. Le leggi ci sono: occorre che siano messe in pratica perché, come sostiene la Warris: “Bisognerebbe mettere in atto una vera forma determinata, seria, mirata, decisa, contro chi tollera questo crimine e perseguire tutti quelli che ancora lo commettono”.

 (1) Lo studio ha esaminato un campione composto da 1.421 persone che lavorano in ambito socio-sanitario. Coinvolgendo 313 mediatori culturali e 1.108 operatori sanitari si è cercato di capire chi di loro era venuto a contatto con bambine a rischio di infibulazione.
 (2) Direttore dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà” (Inmp)

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