Violenza sulle donne. Bonetti: “Fondamentale creare una comunità.

ROMA – Elena Bonetti, ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, intervenendo al convegno online ‘È un”impresa dire no alla violenza’ in diretta sulla pagina Facebook dell’Agenzia di stampa Dire, ha sottolineato come occorra costruire “una comunità qualificata, affidabile, che c’è e sa riconoscere i segnali della violenza, sa ascoltare e sa accompagnare le donne in un divenire di un percorso. O queste donne sanno che ci sarà una mano pronta ad accoglierle, che c’è una comunità che può dare loro una prospettiva– avverte Bonetti- o il nulla che vivono nella casa si tradurrà in un senso di solitudine e di vuoto” e nella “condanna a rimanere in quella violenza”.
“Solo una compartecipazione, una condivisione di responsabilità, una costruzione di un sistema di una comunità intera, solo attraverso il tema istituzioni-privati-istituzioni sociali si può avere un agire che può essere davvero significativo per le donne. Nessuno si può sentire escluso dall’appello ormai cogente e non più rimandabile di farsi prossimo rispetto a una violenza che va riconosciuta e intercettata”. Per questo, “anche quest’anno abbiamo voluto rilanciare per il 25 novembre la campagna ‘Libera puoi’, che significa che le donne devono poter trovare non solo un aiuto e qualcuno che accoglie il loro grido, ma anche una possibilità di essere riconosciute come persone abilitate a una libertà personale, che sono preziose, alle quali possiamo offrire un contesto di vita, di libertà nel quale rigiocarsi, in primo luogo il tema del lavoro”.
Per Bonetti è proprio il tema del lavoro “il luogo della libertà di ciascuno– dice- non solo perché economicamente trovi un sostentamento per te e per i tuoi figli, ma perché nell’ambito del lavoro sei riconosciuta come persona unica, irrinunciabile per tutti, irripetibile, che può dare un valore e dare un contributo. Ed è per questo che la nostra Costituzione si fonda sul lavoro e sul dovere di concorrere, perché ciascuno di noi è riconosciuto capace di dare valore. Le vittime di violenza sono donne che hanno subito in silenzio l’annichilimento di se stesse, qualcuno che fisicamente, sessualmente, psicologicamente, economicamente diceva loro che non valevano. E invece è il contrario: tu vali, e questa libertà di valore tu la puoi giocare con noi. Per fare ciò, progetti come quello presentato- conclude Bonetti parlando del progetto della Cooperativa E.V.A. ‘E’ un’impresa dire no alla violenza’- sono fondamentali”.
Bonetti ha poi annunciato che il giorno successivo al 25 novembre convocherà “una conferenza straordinaria di tutti mondi che operano nel contrasto alla violenza contro le donne per fare il punto della situazione, perché siamo al termine di un Piano strategico nazionale di contrasto alla violenza e dobbiamo riscrivere quello successivo ed è chiaro che sarà fatto in un percorso di coinvolgimento”. “Servono i fondi – ha aggiunto la ministra -, ho appena passato in Conferenza Stato-Regioni la ripartizione di altri 28 milioni di euro per le case rifugio e i centri antiviolenza attraverso le Regioni, uscirà un bando nazionale per azioni di sistema. È importante mettere in campo questi strumenti e queste reti ma serve cambiare anche un paradigma culturale”.
Secondo Bonetti, è fondamentale anche il linguaggio con cui vengono descritti i fatti: “Le parole con cui raccontiamo la violenza devono cambiare, io credo che le istituzioni tutte su questo si debbano sentire non solo impegnate a condannarle verbalmente ma definitivamente coinvolte per far sì che tutto questo cambi definitivamente il volto e il linguaggio del Paese” ha chiarito, commentato il racconto che i giornali in questi giorni hanno fatto della strage familiare di Carignano. Per la ministra “non è più accettabile che vengano raccontate notizie drammatiche” facendo riferimento “ai continui litigi della coppia che negli ultimi tempi sono diventati più frequenti. C’è una bugia enorme che dobbiamo definitivamente smontare- avverte Bonetti- Non c’è nessuna ragione, nessuna giustificazione a un atto di violenza disumano e disumanizzante, se noi cerchiamo le ragioni cediamo a questa disumanità. Non c’è ragione per Barbara e per i suoi figli, per Daniela e per i suoi figli Elena e Diego uccisi quest’estate, per Lorena uccisa dal fidanzato durante il lockdown e per tutte le donne che sono state picchiate, violentate e uccise durante il lockdown. Non c’è litigio, non c’è conflitto, non c’è corresponsabilità. Perché se si parla di una lite, di una gelosia, si colloca il motivo di una violenza nell’ambito di una relazione in cui ci sono sempre due soggetti. Questo deve essere condannato definitivamente– conclude la ministra- È un impegno che io personalmente intendo assumermi e credo che lo dobbiamo fare insieme anche in vista del 25 novembre, perché non sia solamente una celebrazione”.

 VALENTE: ENTRO IL 25 AL SENATO DL PER DISCIPLINARE LETTURA DATI “BASTA PARLARE DI DONNE COME SOGGETTI DEBOLI; RAGIONIAMO DI REDDITO DI LIBERTÀ”
“Ci auguriamo che arrivi in aula al Senato in occasione del 25 novembre l’approvazione di un disegno di legge che disciplina la lettura dei dati della violenza contro le donne, in raccordo con l’Istat”. Cosi’ la senatrice Pd e presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, Valeria Valente, intervenendo al convegno online ‘È un’impresa dire no alla violenza’ in diretta sulla pagina Facebook dell’Agenzia di stampa Dire.
“È un richiamo che l’Unione Europea ci ha fatto tante volte e anche la Convenzione di Istanbul ci impone una lettura piu’ attenta, piu’ accurata, piu’ puntuale, piu’ cadenzata nel tempo- ricorda Valente- In tanti ci dicono che se i dati non li leggiamo in maniera corretta poi non possiamo approntare gli strumenti necessari per combattere il fenomeno. Una lettura corretta della violenza significa prendere il punto di vista delle donne, per fare questo- chiarisce- dobbiamo credere alle donne. Ancora oggi le donne non vengono credute perche’ il mondo e’ stato costruito su stereotipi e su modelli di un sesso che si e’ autoproclamato piu’ forte”.
Per ribaltare lo stereotipo del ‘sesso debole’, secondo la presidente della Commissione femminicidio, occorre “raccontare la forza delle donne” e “dobbiamo fare questo salto di qualita’ proprio in questa fase in cui si stanno ricostruendo nuovi modelli di sviluppo. Basta parlare delle donne come soggetti fragili, deboli, da tutelare, da sostenere. Se ad un certo punto la donna e’ vulnerabile questo non vuole dire che sia un soggetto debole e fragile”. Fondamentale, quindi, e’ anche “inquadrare nella maniera giusta” il “percorso di sostegno alla ritrovata autonomia delle donne dopo un percorso di violenza. Non “un aiutino a un soggetto debole che non ce la fa, ma un sostegno concreto a un soggetto che e’ stato indebolito e piegato, per relazioni sbagliate o per una serie di circostanze che hanno trovato spazio in un contesto sociale ed economico che ha sposato quel modello”.
Spiega Valente: “Quando abbiamo pensato alla possibilita’ di incentivi per le assunzioni, ci e’ stato fatto notare che nel momento in cui un’azienda, una cooperativa accede a questo tipo di incentivo, quella donna viene etichettata nell’ambito lavorativo come la donna che ha subito violenza. Se vogliamo veramente dare una possibilita’ in piu’ a questa donna di riprendersi la propria vita dobbiamo fare in modo di non farla sentire in colpa, piu’ vulnerabile, piu’ fragile. Spesso si parla di reddito di liberta’- conclude Valente- io voglio ragionare anche di questo”.

VIOLENZA DONNE. DA CASAL DI PRINCIPE A PALERMO IMPRESE DAI CAV SI FANNO MODELLO PALLADINO (EVA): SOLLECITARE POLITICA PER RISCRIVERE VIVERE COMUNE POST-PANDEMIA
Resistere e reinventare, anche per se stesse, un nuovo mondo “meno ingiusto”, in un momento in cui “a fare la differenza sara’ il restare insieme col nostro sguardo di genere, e a sollecitare la politica affinche’ qualcosa possa veramente cambiare”. È un paradigma gia’ pronto e sperimentato in centri antiviolenza e case rifugio, quello proposto dalla sociologa, femminista e attivista della Cooperativa E.V.A., Lella Palladino, come ricetta di “riscrittura” di “un vivere comune” che la pandemia Covid-19 ha fatto a pezzi facendo emergere debiti e disuguaglianze, e che, proprio dall’esperienza delle donne in uscita dalla violenza, potrebbe trovare nuova linfa.
Modellizzata grazie alla ricerca dell’associazione Le Nove, la metedologia di reinserimento lavorativo delle donne in uscita dalla violenza sviluppata con il laboratorio di catering e confetture ‘Le ghiottonerie di Casa Lorena’ e’ stato il punto di partenza della tavola rotonda di stamattina ‘È un’impresa dire no alla violenza’. Titolo evocativo del convegno, ma soprattutto del progetto finanziato dal Dipartimento Pari Opportunita’ che ha permesso di ampliare il laboratorio nato nel 2012 a Casal Di Principe con una nuova linea di produzione dedicata ai taralli campani, attivando al contempo nuove borse lavoro per le donne.
Si tratta di “un’efficace collaborazione pubblico-privato sociale che, osserva Palladino, “quando accade va valorizzata e rendicontata”. Da ‘Le ghiottonerie di Casa Lorena’, infatti, “sono passate circa 40 donne in uscita dalla violenza”, ricorda Daniela Santarpia, presidente della Cooperativa sociale E.V.A. che otto anni fa ha dato vita a una sperimentazione che ormai si e’ affermata come buona prassi e che “mette al centro le donne. Una donna vittima di violenza pensa di non valere nulla, perche’ e’ stata depauperata di ogni desiderio- sottolinea- Iniziare a interagire con un gruppo con altre lavoratrici” significa “che quella stessa donna viene messa in grado di scegliere, misurarsi con le altre, sbagliare, un allenamento importante che le da’ la misura di cio’ che vale”. Che, tradotto in una parola, significa ‘empowerment’.
Ricentralizzare bisogni e desideri, rileggerela propria storia personale con griglie “non colpevolizzanti ma valorizzanti, essere coinvolte in un’attivita’ produttiva protetta ma non paternalistica”: da li’ nascono “l’autonomia e la liberta’ di queste donne”, per Maria Grazia Ruggerini, ricercatrice dell’associazione Le Nove che illustra il senso della ricerca condotta sulla sperimentazione di Casa Lorena in comparazione con gli Spazi Mamme di Save The Children. È “il valore del gruppo” l’elemento che accomuna i due progetti, studiati insieme e messi a confronto perche’ “l’idea e’ che un’esperienza buona e importante debba essere in grado di dialettizzarsi, scambiarsi, diffondersi”. “Quello che ho notato nel rapporto sulla ricerca di Le Nove- spiega Raffaella Milano, direttrice dei programmi Italia-Europa di Save The Children- e’ l’approccio comune tra due realta’ cosi’ diverse, quello della resilienza, dell’empowerment, del rifiuto dell’assistenzialismo e del vittimismo”, che puo’ assurgere a modello per superare la crisi causata dalla pandemia “nella convergenza dei movimenti di diritti” che si muovono a livello globale.
Ma Casa Lorena non e’ il solo esempio virtuoso. Da Latina a Palermo, dal Basso Lazio al Molise i cav sono moltiplicatori di esperienze di autonomia lavorativa e d’impresa al femminile. È il caso di ‘La.b’, il percorso di inclusione lavorativa illustrato da Francesca Innocenti del Centro Donna Lilith e nato da una sinergia con il Comune di Latina e un finanziamento del Dpo, che ha permesso di creare un laboratorio artigianale di pelletteria a partire dagli scarti dei grandi allevamenti pontini: le pelli di bufala lavorate da sei donne che a settembre hanno presentato alla citta’ i loro lavori.
È il caso pure delle ‘Cuoche combattenti’, nate dalla determinazione di Nicoletta Cosentino, che dopo un tirocinio realizzato grazie al cav de Le Onde Onlus di Palermo, racconta Giusy Chirco, “e’ diventata un’imprenditrice”. Come pure Giorgia, che con la sua Clean Sicily “in meno di due anni e’ riuscita ad assumere quattro dipendenti a tempo indeterminato, di cui tre donne vittime di tratta, acquistare un mezzo aziendale, e gestire per pulizie, sanificazioni e manutenzioni 60 appartamenti, sei uffici e due condomini”.
Bilancio piu’ che positivo anche per il progetto Green Lab promosso nel 2016 dall’associazione Risorse Donne di Sora con l’assessorato Pari Opportunita’ e Ambiente del Comune ciociaro, grazie al quale 16 donne, tre cui tre in uscita dalla violenza, hanno potuto acquisire competenze specifiche nell’ambito della gestione e rigenerazione creativa dei rifiuti con un laboratorio “collocato all’intero dell’ecocentro- spiega Alessia Garonfalo di Risorse Donna- in cui hanno potuto intercettare questi scarti e farli diventare nuove linee di prodotto”, trasformandosi in “attiviste per la tutela ambientale” in un “circuito locale green” che ha visto entrare nel progetto le aziende e la comunita’.
L’empowerment “e’ al centro dell’attivita’ di Be Free- spiega Oria Gargano presidente della Cooperativa Sociale che gestisce cav e case rifugio in Lazio, Abruzzo e Molise- Da tre anni grazie a un Por con la Regione Molise produciamo il pluripremiato olio ‘La terra delle donne’. Abbiamo piu’ di 150 accordi di tirocinio con varie aziende e altri due progetti: ‘Perfetto migliorabile’, contest di empowerment per 14 donne che hanno potuto frequentare corsi e tirocini con voucher mensili per due anni e da cui e’ uscita un’ottima pratica; e l’ultimo di far diventare operatrici come noi, due ragazze uscite dalla tratta”.
“Attualmente gestiamo tre importanti progetti di reinserimento lavorativo delle donne in uscita dalla violenza- fa sapere Elisa Ercoli, presidente di Differenza Donna Ong- Il progetto ‘Integra’ finanziato dalla Regione Lazio; ‘Women at work’, finanziato dal Dpo; e il progetto ‘Tolerant, per accompagnare le donne migranti. Esiste una specificita’ del reinserimento lavorativo delle donne in uscita dalla violenza- ricorda Ercoli- Se avremo delle politiche specifiche in questo senso, queste misure devono prevedere quello che noi abbiamo capito in questi anni”, e cioe’ che, “se noi abbiamo un problema di espulsione del mondo del lavoro, le donne in uscita dalla violenza hanno ulteriori difficolta’” che consistono in un “surplus di svalorizzazione”, vissuta non solo all’interno della societa’ come per tutte le donne, ma anche dentro una storia con un uomo. Per questo e’ fondamentale includere “le donne in uscita dalla violenza all’interno dell’intero gruppo di donne che ha oggi una grande opportunita’ di farsi sentire”, conclude Ercoli. E fa un invito: “Prendiamo l’occasione del G20 per metterci insieme su due tre punti fondamentali su cui essere unite, l’unica vera garanzia per tutte le donne, anche per le donne in uscita dalla violenza”.

Agenzia DiRE  www.dire.it

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