“Contessa Scalza. Memorie di una regista scostumata”. Di Loredana Zino.

 

 

 

 

ACCADEMIA DEI PARMENIDEI
      UFFICIO STAMPA

Sul Web: “Contessa Scalza. Memorie di una regista scostumata”. Di Loredana Zino.

Recensione di Bianca Fasano.

Vorrei poter dire di “aver fatto teatro”. In realtà non l’ho fatto. Tuttavia ho scritto una commedia di un atto (mai recitata da nessuno”), dal titolo: “La saggezza della follia” e ho partecipato al tentativo di portare in scena una commedia (eravamo un pallido gruppo teatrale”, di cui ricordo una battuta: “Cosa credi, che io sia felice?”).Dimenticavo: ho anche prestato un mio quadro per porlo in scena in una compagnia cui non avevo nessuna parte recitativa e lavorato (danza), da piccola, fino ai dodici anni. Per Rai uno.

Dico questo per far comprendere perché, in qualche modo, mi sono calata subito nella narrazione (non romanzo, non biografia), della “Saggia regista”.

 “Memorie di una regista scostumata“. Tuttavia mi ci sono avvicinata con cautela, rendendomi conto che si trattava di un lavoro complesso in cui, gettate lì come per caso, vi sono inserite molte “dritte” sul modo con cui noi esseri umani gestiamo la nostra vita, anche inconsapevolmente. Chi, come Loredana Zino, si guarda dentro, ricercando anche “passati nascosti” e personalità diverse (possibili reincarnazioni), offre un aiuto a chi non sa contattare il proprio io. Un insegnamento, direi.

L’autrice, che per un lunghissimo periodo si è inserita come regista (non professionista, come asserisce, per scelta), nel mondo dello spettacolo teatrale, t’immerge, senza salvagente, in un mare di emozioni che lei definisce: “I ricordi semiseri, di una carriera nata per caso, danno spazio alla domanda che talvolta ci poniamo davanti ad uno specchio: “Chi sono io?”.

Una persona come lei, che si lancia nella vita come un’affamata alla ricerca continua di viverla il più possibile, insinuandosi nella possibilità di avere vissuto vite precedenti e cercando le mille sfumature dell’Io non poteva non convincersi e convincerci che un essere umano normale sia composto di migliaia di questi “Io”, tanto che ci si riferisce a loro come ai “molti Io”. Non poteva non scontrarsi con quella che lei definisce come: “La lunga malattia degli attacchi di panico”. Quasi fosse una patologia nata per fermarla, con cui, invece, ha convissuto, trascinandola con sé “comicamente” (come afferma), nelle tappe dei tour teatrali, affogandola nei personaggi che creava e conduceva al pubblico, negli amori e nelle passioni che si realizzavano sulle assi dei teatri, portate davanti agli spettatori. Chi recitava era accecato dalle luci della ribalta che dividevano gli attori da quell’insieme di esseri venuti ad ascoltare, carpire, giudicare, forse applaudire.

 “Scrivo le mie memorie di teatrante, cosicché faccio spazio e non se ne parli più”.

Come una liberazione.

Lei ci insegna, se mai non lo avessimo capito, che siamo tutti protagonisti di “Un gioco di ruolo”, (role-playing game). Un gioco dove i giocatori assumono il ruolo che scelgono o gli assegna la vita, mentre, invece dovremmo essere padroni di rappresentare più personaggi e, per mezzo della nostra capacità d’immedesimazione, riconoscere le motivazioni degli altri e aiutarci a conviverci.

Non tutti possono, effettivamente, partecipare ai giochi di ruolo e raggiungere, attraverso lo scambio dialettico, uno spazio immaginario, dove permettere che avvengano fatti ed eventi fittizi. Realizzare un’ambientazione narrativa e immergersi in altri “se stessi” che ci facilitino a comprendere le sceneggiature della vita.

Il termine “role playng” fu usato per la prima volta dallo psicologo Jacob Levi Moreno[1], che coniò l’espressione Role Play nel 1934 e sperimentò nel 1921 il “teatro della spontaneità“, e negli anni la “tecnica dello psicodramma” attraverso cui il paziente recita un avvenimento del suo passato per lui conflittuale e quindi s’immedesima nell’antagonista e supera il disturbo.

Loredana offre, con il suo lavoro, lo spunto per comprendere come in ognuno di noi potrebbe esistere la possibilità di “cambiare il proprio personaggio” e guardare nel fondo di se stessi per incontrarsi con un altro “io”, più capace di affrontare il momento della vita che sta vivendo.

Da regista, inoltre, sente la necessità di lavorare “Abbattendo la quarta parete“, come Pirandello, ossia eliminare il confine che allontana il palcoscenico dal pubblico, quel limite che separa la finzione scenica -rappresentativa dalla realtà, come accade in “Sei personaggi in cerca d’autore”.

Nel 1996, trentacinquenne, si avvicinò alla “Compagnia Sceneggiate Scomposte” per apprendere. Fu amore a prima vista, un amore ricco di realizzazioni e soddisfazioni che si alternavano alla sua vita di scrittrice: “L’altra Loredana”.

Si chiede: “Può essere che la recitazione sia adatta a chi non ha ancora accettato il suo lato oscuro, il lato Ombra di cui parlano gli psicologi? Molto a lungo, ad esempio, io usai il mezzo teatrale per mettere in scena i miei casini interiori, i copioni che il mio inconscio, come meccanismo di difesa, mi spingeva a recitare nella vita. Non mi sento un caso speciale, al contrario, mi reputo molto comune”.

Insomma: liberarsi “dei copioni interni, perlopiù schemi difensivi radicati nell’infanzia”.

La “terapia del teatro” non travolge con le emozioni in quanto è finzione: “Recitare apre quel paracadute di soffice seta rosa che fa osare voli pericolosi atterrando sempre in piedi”.

Avevo già pubblicato il libro su Freddie Mercury, La Marcia della Regina Nera”. Ci dice. Che è ricordata come “La prima biografia del celeberrimo vocalist dei Queen: ricostruisce, in forma romanzata, la leggendaria, vorticosa, trasgressiva vicenda umana e artistica di Freddie Mercury. Kaos Edizioni, 1992”. Scopriamo di lei un’infinità di cose, seguendola nel suo “dialogo interiore”, ad esempio i corsi di scrittura creativa da lei organizzati presso il centro Lara di terapie alternative in Largo Zecca (“piazza Corridoni” durante il periodo fascista) che è una piazza del centro storico di Genova, situata tra i sestieri della Maddalena e di Prè.

Nel suo “viaggio interiore” riflette sul modo con cui lo scrittore, oggi, abbia dovuto adeguare alla vita sociale dei social: ”Venticinque anni fa lo scrittore viveva quasi come un eremita. Oggi fa le presentazioni, fa i readings, si confronta con gli altri. Pubblica su Facebook, coccola i suoi followers. Socializza!”.

Dannatamente vero, anche nelle difficoltà che tale ruolo comporta: essere costantemente esposto e conosciuto, mentre, prima, era il romanzo, il racconto, il lavoro letterario che faceva da scudo. Non importava chi l’avesse scritto. Loredana ci dice che è stata in grado di dirigere una Compagnia, La Conchiglia, per vent’anni “adeguandola ogni volta alle novità e alle ricchezze che la vita ci elargisce sotto forma di esperienza”. Un gran merito. Inoltre ci spiega che “Il teatro é corpo”, invitandoci a ricordare quando, bambini abbiamo dovuto “prendere confidenza” con il nostro corpo: “Com’e che i bambini apprendono la vita? Con il gioco. Che per loro e la cosa più seria del mondo. Loro ci credono!”

Vero.”Se io fossi il re e tu la regina. Se io fossi il cavaliere e tu il cavallo… Se io fossi!” Chi di noi, bambino, non ha fatto quel gioco? Alcuni psicologi sostengono che, quanti non ci sono passati, malgrado la presenza dei “neuroni a specchio”, non riescono ad immedesimarsi “nell’altro”.

Loredana Zino ha utilizzato l’arte del teatro, se ne è impregnata e regala a noi le emozioni, i ricordi, le complessità, le difficoltà e le realizzazioni come se dovesse, in qualche modo, distaccarsene, per compiere altri percorsi: “Scrivo le mie memorie di teatrante, cosicché faccio spazio, e non se ne parli più”. Aiutandoci anche nella ricerca del “proprio posto nel mondo”. Liberandoci da quella che lei definisce “La conquista di una Seggiola, di una collocazione (…” Che ci permette di trovarlo, quel posto nel mondo, che lo rende lecito.

Un lavoro, dunque, che non è romanzo, né biografia (di lei, volendo, si può sapere attraverso i canali del web), piuttosto una chiusura, una caduta di sipario su di un -suo- lungo periodo di vita, attivo, creativo, sperimentale, che ci regala assieme alle cose che quel periodo le ha insegnato. Pensando possa anche aiutarci a rapportarci meglio con la nostra “maschera”, oppure, anche, a toglierla di tanto in tanto, per essere più liberi.

Bianca Fasano

[1] Jacob Levi Moreno (Bucarest, 18 maggio 1889 – Beacon, 14 maggio 1974) è stato uno psichiatra rumeno, naturalizzato austriaco e statunitense.

(lettori 201 in totale)

Potrebbero interessarti anche...