Figuaraccia dei partiti, Mattarella dice sì… al Parlamento.

L’editoriale del direttore Nicola Perrone.

ROMA – Adesso comincia il rodeo, vedremo tutti i leader di partito che si accuseranno a vicenda delle peggiori scorrettezze. Triste spettacolo della politica. Alla fine di questa maratona per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica il fatto che resti Mattarella è il segno evidente del fallimento delle forze politiche, che dopo essersi distinte nel bruciare tutti i candidati buttati nella mischia alla fine si sono dovuti arrendere ai rispettivi veti. E hanno chiesto al presidente uscente di rientrare in carica.

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Mattarella ha detto sì non ai leader di partito ma ai capigruppo parlamentari. Perché è dal Parlamento che, prima dei partiti, è venuta l’indicazione per il bis. Alla fine potrà sembrare un pari e patta, una cristalizzazione della situazione in attesa della resa dei conti alle elezioni politiche nel 2023. Ma il Capo dello Stato e il premier Draghi ora sono più forti, i partiti e la politica, più deboli.

Vero che è il Centrodestra, con Matteo Salvini leader della Lega nel ruolo di ‘mazziere’, che alla fine esce più ammaccato. Ma pure nel Centrosinistra non è stato un bel vedere, con le tre o quattro linee politiche che si sono scontrate nel Pd, e un M5S che sotto la guida di Giuseppe Conte ha sbandato più volte, creando problemi soprattutto per quanto riguarda i rapporti di affidabilità, requisito fondamentale di qualsiasi alleanza, con l’alleato Dem.

Nella Lega, vero partito ‘leninista’, per il momento nessuno si azzarderà a mettere in discussione il leader Salvini ma è chiaro che per lui inizia la traversata nel deserto. Giorgia Meloni e i suoi Fratelli d’Italia lo hanno marchiato come traditore, mentre Forza Italia ora è allo sbando, costretta a correre verso quel Centro già strapieno di partitini per non essere cannibalizzata e annientata dalla lotta all’ultimo sangue che si è aperta tra FdI e Lega.

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La scelta di Mattarella alla fine è l’unica che garantisce la prosecuzione del Governo Draghi. Difficile pensare che il premier sarebbe rimasto al suo posto con un nuovo Capo dello Stato scelto ‘contro’ di lui. Anzi, dopo la figuraccia dei partiti della sua maggioranza adesso Draghi è più forte di prima e pure se nei prossimi mesi cresceranno gli ‘appetiti’ elettorali in vista delle amministrative di primavera, il premier li saprà tenere facilmente a bada.

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