Nuovi dettagli della perizia sulla morte di Luana D’Orazio svelano che l’orditorio era stato manomesso per velocizzare il processo lavorativo.

di Antonella Necci

Due manomissioni effettuate allo scopo di evitare interruzioni e velocizzare la produzione a discapito della sicurezza: una è stata apportata al quadro elettrico, l’altra alla parte meccanica. La prima, in particolare, avrebbe permesso al macchinario che ha ucciso Luana D’Orazio di funzionare in automatico anche con la saracinesca di protezione abbassata. È quanto trapela dai primi risultati della perizia svolta sui due orditoi al centro dell’inchiesta della Procura di Prato sulla morte dell’apprendista di 22 anni, mamma di un bimbo di 5, risucchiata e stritolata il 3 maggio dal macchinario al quale stava lavorando in una ditta tessile di Oste di Montemurlo. Mercoledì sono stati interrogati in procura i coniugi Luana Coppini e Daniele Faggi, convocati dal sostituto procuratore Vincenzo Nitti e sentiti rispettivamente come titolare e come gestore di fatto dell’orditura Luana, dove è avvenuto l’incidente mortale. Entrambi sono indagati per omicidio colposo e rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. Dalle prime verifiche era già emerso che il sistema di sicurezza era disattivato al momento dell’incidente.

La contestazione del secondo reato si riferirebbe proprio alla presunta disattivazione di una fotocellula che regola l’abbassamento automatico del cancello di sicurezza dell’orditoio gemello di quello al quale stava lavorando Luana. In base ai controlli eseguiti, infatti, il sensore sul macchinario sarebbe stato presente e perfettamente funzionante, ma in qualche modo disattivato al momento dell’incidente.

I due orditoi sono stati prodotti dalla tedesca “Karl Mayer TexilmachineFabrik Gmbh”, i cui tecnici hanno collaborato con i periti nella lettura dei dati dei due impianti. Secondo quanto emerso, la Coppini avrebbe risposto alle domande degli inquirenti, mentre il marito si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere. Per gli stessi reati è finito iscritto sul registro dei magistrati anche il tecnico manutentore, Mario Cusimano, già ascoltato dagli inquirenti nei giorni scorsi. La Procura punta a definire anche quale fosse la reale mansione di Luana e quali dotazioni infortunistiche indossava la giovane.

Questi i fatti nudi e crudi sui quali dobbiamo fermarci a riflettere ed indignarsi profondamente. Luana D’Orazio era una giovane madre italiana, sfruttata al pari di tanti altri che provengono da paesi diversi, stesso iniquo trattamento, stesso iniquo sfruttamento a riprova che il profitto non guarda in faccia nessuno. Come Luana anche Adil Belakhadim (sindacalista morto per essere stato investito di fronte alla fabbrica dove stava protestando pacificamente insieme ad altri lavoratori), o gli operai senza nome dell’azienda vinicola Fratelli Martini, oppure l’autotrasportatore schiacciato sotto ad un carico di imballaggi nella Platic Leffe…. Alcuni di loro prendono corpo e voce, pur non volendo, diventano un simbolo di una lotta senza forza e senza tanto coraggio, anzi sono loro stessi e le loro morti a dare forza e coraggio, anche se la stragrande maggioranza dei lavoratori ha paura e teme di perdere quello che considera un grande privilegio : il lavoro. Il lavoro a caro prezzo. Il lavoro che non nobilita, ma distrugge.

Altri, tra i lavoratori periti a causa del nobile Dio Lavoro, rimangono senza nome. Numeri utili per il profitto di pochi. Numeri e non persone.

Chi protesta viene licenziato, oppure ucciso, ( come il caso di Soumaila Sacko, bracciante e sindacalista ucciso dal caporalato nella piana di Gioiatauro).

Chi protesta non ne ha diritto, perché viene pagato, secondo gli industrialotti di questa provincia di un impero che si sta sgretolando. Nessun diritto, ma solo doveri.

Vale la pena fermarsi a riflettere. Vale la pena indignarsi. Vale la pena, perché nessuno si senta in dovere di rubare la nostra vita.

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