Cosa succederebbe se si applicasse in Italia la proposta della senatrice Usa Elizabeth Warren, cioè un prelievo mini del 3 per cento a chi ha una ricchezza superiore ai 50 milioni?

Elizabeth Warren

di Antonella Necci

L’economista Emmanuel Saez (autore insieme a Gabriel Zucman de “Il trionfo dell’ingiustizia”) spiega a come dovrebbero essere utilizzati i fondi raccolti con un prelievo sulle grandissime ricchezze. Nessun approccio punitivo o confiscatorio ma semplicemente un’azione redistributiva, dopo che negli ultimi decenni il fisco si è evoluto a vantaggio dei più ricchi e a svantaggio dei meno abbienti. L’iniquità è talmente esasperata che ormai persino il Fondo monetario internazionale spinge per un’azione di questo tipo e come questa ipotesi sia molto più praticabile di quanto non si creda.

Un divario che si allarga, in Italia come in Europa. Sempre più in alto l‘Olimpo dei ricchissimi, sempre più in basso la terra di tutti gli altri. Una tendenza che la pandemia ha accentuato, in tutto il mondo. Nel nostro paese il 53% dei redditi non deriva dal lavoro ma da profitti realizzati attraverso varie tipologie di investimenti. Eppure la pressione fiscale è molto più concentrata sui primi che sui secondi. Lo stesso avviene, in diverse misure, in tutte le economie avanzate. Una dinamica che nuoce alla crescita economica ed esaspera conflitti sociali, tanto che ormai anche organizzazioni come il Fondo monetario internazionale o l’Ocse auspicano interventi redistribuitivi a favore della classe media.

Una delle proposte che sta incontrando i maggiori favori è quella dei due economisti Gabriel Zucman ed Emmanuel Saez. Concepita per il sistema statunitense, ipotizza un’imposta del 2% sui patrimoni che superano i 50 milioni di dollari e del 3% per le ricchezze al di sopra del miliardo di dollari. Il gettito stimato è di circa 100 miliardi di dollari l’anno. La senatrice democratica Elizabeth Warren ha inserito la proposta nel suo programma elettorale, amplificandone la risonanza internazionale. Fatte le debite proporzioni, i risultati sarebbero importanti, ed utili per dare sollievo alla classe media, anche in Italia.

Se l’imposta fosse applicata in Italia – Proviamo quindi a traslare la proposta di Zucman e Saez nel contesto italiano. Avere numeri accurati è difficile. Neppure Banca d’Italia, che pure redige periodicamente la sua indagine sulla ricchezza delle famiglie italiane, dispone di dati disaggregati relativi alla sola fascia di patrimoni individuali dai 50 milioni in su. Dobbiamo quindi ricostruire il quadro per via “indiziaria”. Secondo la rivista Forbes, e altre pubblicazioni che effettuano indagini simili, nel nostro paese esistono una quarantina di individui con un patrimonio che supera il miliardo di euro. A loro fa capo complessivamente una ricchezza di circa 140 miliardi di euro. Un prelievo del 3%, come previsto dal “piano Warren” , frutterebbe 4,2 miliardi di euro l’anno. L’ultimo rapporto sulla ricchezza globale di Credit Suisse indica poi in 2.774 il numero di italiani con una ricchezza che supera i 50 milioni di euro. Con un’ipotesi estremamente conservativa, ipotizzando che tutti questi soggetti abbiano la ricchezza minima per entrare in questa categoria, si tratta di una ricchezza complessiva di 138 miliardi di euro. In questo caso il prelievo del 2% frutterebbe un gettito di circa 3 miliardi. Una valutazione più realistica, che ipotizza un valore medio della ricchezza di questi 2,774 cittadini di 100 milioni, alza però l’asticella a 6 miliardi. Insomma da una “patrimoniale alla Warren” in Italia potrebbero arrivare una decina di miliardi di euro l’anno.

Quale sarebbe il modo migliore di utilizzare questo gettito? Secondo Emmanuel Saez: “La ricchezza è distribuita in modo estremamente diseguale, ancora di più di quanto avviene con il reddito, pertanto, abbinare una tassa sul patrimonio a politiche che promuovano la creazione di ricchezza per le classi lavoratrici e medie è il modo più efficace per ridurre la disuguaglianza. Mi riferisco in particolare ad interventi come aiuti per chi acquista la casa, incentivi a risparmiare per la pensione”. Saez fa poi una proposta più ambiziosa: ” si potrebbe anche assegnare ad ogni giovane adulto una dotazione una tantum per iniziare la vita, pagarsi gli studi o avviare un’attività. Una possibilità che sarebbe particolarmente adatta per un paese come l’Italia, dove la ricchezza è concentrata in gran parte nella parte più anziana della popolazione”.

Uno dei problemi che immediatamente si affacciano quando si parla di un nuovo prelievo è quello delle scappatoie che verrebbero escogitate per sottrarvisi. Una tassa di questo tipo è più efficace se concepita a livello transnazionale, magari per l’intera Unione europea. Tuttavia non è impensabile che uno stato inizi a muoversi per conto proprio. “Una tassa patrimoniale può avere successo solo se è ben progettata e applicata per rendere difficile l’evasione”, spiega Saez. “Sinora le imposte patrimoniali europee sono state facili da evitare o da evadere, spostandosi all’estero o nascondendo i beni nei paradisi fiscali. Ma esistono modi per bloccare queste scappatoie”. Ad esempio, continua l’economista ” si può guardare ad alcune esperienze statunitensi. In primo luogo, la tassa patrimoniale potrebbe essere concepita in modo da rimanere in vigore per un certo numero di anni dopo il trasferimento all’estero. Le tasse americane seguono i cittadini statunitensi ovunque vadano e la rinuncia alla cittadinanza è accompagnata da una grande tassa di uscita. In secondo luogo, i paradisi fiscali sono ora tenuti a segnalare i conti degli stranieri alle autorità fiscali dei proprietari dei conti. Attualmente sono oltre 100 i paesi che stanno adottando lo scambio automatico di informazioni. Grazie a questi sviluppi, l’attuazione di un’imposta patrimoniale è possibile anche a livello di singolo paese”. Un ostacolo più concreto potrebbe essere rappresentato dal fatto che imposte di questo tipo di necessitano di un’amministrazione fiscale estremamente efficiente, in grado di scovare ricchezze nascoste dietro veicoli societari.

Nessuna punizione o persecuzione ma semplice equità – Economisti come Thomas Piketty o il premio Nobel Peter Diamond hanno pubblicato studi in cui si dimostra come le patrimoniali risultino più efficaci delle imposte sui redditi per ridurre le disuguaglianze. Una tassa sulla ricchezza oggi serve più di ieri perché, quasi sempre, i possessori dei più grandi patrimoni hanno redditi tassabili bassi, grazie a trattamenti fiscali particolarmente agevolati e architetture fiscali che consentono di schivare i prelievi. Nel nostro paese queste imposte sono però state sempre concepite come una soluzione estrema per fronteggiare emergenze, mai come uno strumento redistributivo. E’ invece in questo modo che un prelievo a carico dei ricchissimi dovrebbe essere inteso. In quest’ottica non avrebbero senso obiezioni del tipo “un’altra tassa”, poiché quanto prelevato da un numero piccolissimo di contribuenti servirebbe ad alleggerire carichi fiscali che riguardano gran parte dei cittadini. Tanto meno hanno senso i timori per cui una più alta tassazione su questi soggetti possa avere effetti negativi per la crescita economica: secondo diversi studi l’aliquota media ottimale, ai fini della crescita, sui redditi dei contribuenti più ricchi sarebbe del 60%. Una tassa sul patrimonio non farebbe altro che riavvicinare, molto marginalmente, il prelievo attuale a quello ottimale per la società nel suo complesso. A maggior ragione in una fase storica in cui la quota di ricchezza che finisce al capitale sta progressivamente sopravanzando quella dei redditi da lavoro. Le considerazioni “etiche” si sgretolano se si guarda alla provenienza delle grandi ricchezze, quasi sempre, in Italia più che altrove, ereditate e sottoposte ad una tassazione sulle successioni irrisoria. Dopo Grecia e Gran Bretagna, l’Italia è il paese europeo con la più forte diseguaglianza.

Un fisco sempre meno equo – Negli Usa le aliquote che gravano sui miliardari sono oggi più basse di quelle sul reddito di un operaio o di un impiegato. E’ l’esito finale di un progressivo smottamento del sistema fiscale iniziato a metà degli anni ’70. Un esempio su tutti. Il finanziere Warren Buffett, che a parole si spende molto a favore di una maggiore equità del prelievo, nei fatti versa al fisco circa 2 milioni di dollari l’anno. Tanto? E’ lo 0,05% del reddito che in media ogni anno ricava dal suo immenso patrimonio finanziario. Come se una persona che guadagna 20mila euro lordi all’anno pagasse ogni anno in tasse…..10 euro. In Europa non siamo ancora arrivati a questo punto, ma la direzione è la stessa. Nel 1990 il 10% più ricco della popolazione dell’Europa occidentale possedeva il 30% del totale della ricchezza. Oggi il 35%. Per contro il 50% della popolazione è scesa dal 24 al 21%. Come in tutti sviluppati le aliquote più alte sui redditi si sono fortemente ridotte (72% in Italia nel 1983, 43% oggi) mentre quelle sui redditi più modesti sono aumentate.

La pandemia ha ulteriormente favorito i molto ricchi – La ricchezza finanziaria (quote di fondi comuni, azioni, obbligazioni etc) è estremamente concentrata tra le fasce più ricche della popolazione. In Italia il 10% più ricco della popolazione possiede ad esempio il 52% degli asset finanziari. Le politiche monetarie estremamente espansive che le banche centrali stanno attuando da anni e che si sono ulteriormente rafforzate nei mesi della pandemia spingono al rialzo il valore di questi asset. E’ il motivo per cui in tutto il mondo, dagli Stati Uniti, all’Europa, alla Cina, i miliardari hanno visto aumentare la loro ricchezza anche nel pieno dell’emergenza sanitaria.

La situazione ormai è talmente distorta che persino il Fondo monetario internazionale si è apertamente schierato a sostegno di un maggiore tassazione sulla ricchezza. Già lo scorso gennaio la direttrice Kristalina Georgieva ha scritto “Disuguaglianza di opportunità. Disuguaglianza tra generazioni. Disuguaglianza tra donne e uomini. E, naturalmente, disuguaglianza di reddito e ricchezza. Sono tutti presenti nelle nostre società e – purtroppo – in molti Paesi stanno crescendo. La tassazione progressiva è una componente chiave di una politica fiscale efficace. In cima alla distribuzione del reddito, la nostra ricerca mostra che le aliquote fiscali marginali possono essere aumentate senza sacrificare la crescita economica “. Con la sua ultima legge di bilancio la Spagna ha iniziato un percorso in questa direzione, aumentando del 3% il prelievo sui redditi da capitale.

Una diseguaglianza eccessiva è letale per la crescita economica e per i delicati equilibri finanziari globali. Banalmente i ricchi consumano, in proporzione, meno dei poveri. Questi ultimi spendono più o meno tutto il reddito di cui dispongono, i primi solo una parte. Sale quindi la quota di ricchezza che viene risparmiata. Se l’ammontare di questi risparmi supera le capacità di un loro impiego produttivo da parte di un’economia, i soldi finiscono per alimentare bolle nel valore di immobili e prodotti finanziari e contribuiscono a creare disequilibri nei redditi da capitale.

 

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