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Dal Vangelo di Giovanni 15,1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Come “rimanere” in Lui? Con l’Eucaristia!
Il segreto, Giovanni, lo aveva scoperto, ancora giovanissimo, fin dal primo incontro. Se tu conosci Gesù non puoi che “rimanere” con lui. Non avrebbe più dimenticato l’ora precisa, le quattro del pomeriggio, quando decise di rimanere con il Maestro. Ora, a distanza di anni, quando anziano scrive il suo Vangelo, e tutti sanno già cos’è accaduto nell’ultima cena, a Giovanni preme trasmetterci le parole con cui Gesù illumina il senso dell’Eucaristia. E che altro è l’Eucaristia se non “rimanere” in Lui?
Attraverso le nostre “potature” arriviamo ad un incontro più intimo con il Signore
In modo sorprendente, quel mite e umile di cuore paragona se stesso ad una vite: quanta differenza da certe immagini di Dio potente e vendicativo!
Eppure c’è comunque qualcosa di molto serio nella storia di una vite: se i tralci seccano, vengono tagliati.
Tutto ciò che di noi non vive in comunione con Gesù conoscerà la morte. Ma anche se rimani in Lui conoscerai la potatura. Infatti quanti eventi nella vita ci segnano con ferite profonde! Quanti tagli nelle relazioni, nei desideri, nei progetti…”Quando la vita è tagliata o potata in questo modo, possiamo aver sentimenti di vuoto e di angoscia…ma può prepararsi anche qualcosa di nuovo”, ricorda Jean Vanier.
E’ infatti attraverso le nostre fragilità che si può preparare un incontro più intimo con il Signore. Sono talora proprio quei momenti così dolorosi che ci fanno percepire come senza di Lui non possiamo fare nulla. Allora la consapevolezza di ciò s’irradia su tutta un’esistenza. Uniti al Cristo possiamo attraversare il giorno e la notte, la valle oscura e i prati verdeggianti.
E’ il segreto che tante storie di uomini e donne ci rivelano. Perché, ci chiediamo, non crollano sotto la durezza di tante prove? Perché una luce di serenità brilla sui loro volti ? “Figlio mio, sono quarant’anni che cammino con il Signore !” Rispondeva una donna a chi gli chiedeva come facesse a resistere dopo un tempo di così lunga sofferenza.
La forza vitale che sgorga dal rimanere nel Signore
Lucia ha conosciuto il segreto dell’unità con Cristo. L’Eucaristia ne è stata la sorgente quotidiana. La preghiera, l’acqua sotterranea che irrigava ogni azione.
“La vostra vita di donazione – scriveva alle Volontarie – e il vostro apostolato prendono fecondità dalla vostra unione con il Maestro. E basta.
Quando sentite parlare di defezione, pensate che non può venire che da una vita distratta, ormai dissipata perché l’intimo contatto col proprio Dio non c’è più. La fedeltà (…) non può venire che dall’abituale intimo contatto con Lui”.
A quanti erano segnati, nel corpo e nello spirito, da potature di sofferenza, Lucia ha indicato quella forza vitale che sgorga solo dal rimanere nel Signore. Ancora una volta si comprende perciò il senso di quel suo appassionato richiamo: “Portare l’Eucaristia ai sofferenti e i sofferenti all’Eucaristia”.
don Antonio Guidolin